Aghi di Pietra – Escursione tra Crode e Sensazioni Ladine

Puez e Odle, il mondo ladino evoca folletti, elfi, gnomi dei boschi, creature fantastiche, magiche sentinelle dell’enrosadira, ritmi incantati dai colori del tramonto. Entrare nel mondo ladino è viaggiare in un microcosmo di tradizioni, costumi, usanze, cultura, lingua che si sono conservate nel tempo; è facce, sorrisi, fatiche, gestualità di persone singolari, speciali, simbiosi armoniosa di uomo e natura, di pelle e roccia; è soprattutto confine trascendente dello spirito.

In quei monti, chi vi giunge assapora la libertà di sentimenti ritrovati, altrove soffocati da un mondo frenetico e disumano. Nei miei pensieri da tempo l’eco del Puez – scheggia di parola incisa nel calcare della dolomia – rincorre le Odle, gli aghi, pinnacoli irregolari, pettine fossile rivolto al cielo.

Orbene, a fine agosto è tempo ideale per partire alla scoperta di questi luoghi. La mitica Tipo è andata in pensione ma l’acquisto del nostro Marcello, seppur nero, familiare e di altra marca per noi equivale sempre al mezzo di trasporto ufficiale dei “Bortolot”, il catorcio bianco. Il rito mattutino della partenza prevede un collaudato sistema ad incastro. Discesa creativa di Franco da Fregona che a Longhere aggancia i suoi dolori sociali (stavolta l’avea mal dapartùt) allo spirito preciso e puntuale (dèe volte anca massa precisin, ma l’è ‘l paron déa machina) di Marcello. Insieme salgono a Revine a raccogliere i resti sempre più assonnati (dopo ‘na note de lavoro, sich!) e fantasiosi (tuta l’istà in giro co’ veci e boce a far el pajazo) di Robi; tappa a Serravalle a prelevare il supertecnologico e bionaturalista Max (l’à portà via le robe digitai, el pan fat in casa, cunicio in tecia, ovi lessi, insomma, picnic par tuti!) e via alla volta del Nord. Una mezza “anguria” serale costringe il gruppo a soste ravvicinate e Robi (autore del misfatto) a sette tappe forzate.

In compenso lungo il tragitto al sorger del sole e durante le fermate, Massimo si sbizzarrisce ad immortalare le brume mattutine che s’alzano tra boschi e praterie, sottolineando di fascino ulteriore le Dolomiti che si ergono a corolla. Al Passo Sella caffè di rito. La nostra meta, la Val Gardena, si apre verdeggiante ai nostri occhi, incastonata come una perla tra cime leggendarie, Sassolungo, Sella, Odle.

Giunti in località Daunei, zaini in spalla e via verso l’avventura. Il cielo limpido e terso guarda i nostri passi che solcano facili pendii e le ombre delle nostre sagome si riflettono sulle rocce e sui prati.

Siamo attorniati da panorami mozzafiato, sguardo che si perde verso orizzonti lontani, eco che rimbalza tra speroni di pietra, respiro che s’incunea tra forcelle e diedri, serenità che invade il nostro fisico.

La natura è padrona del nostro cammino, è segmento di congiunzione tra fatica e riposo; è sublime creato irradiato dal sole e punteggiato di candide nubi; è ruscelli impetuosi ingentiliti da marmotte di passaggio; è albero maestoso della notte dei tempi, nella cui corteccia vi è tesoro per etologi; è semplicemente bellezza allo stato puro.

Un crocifisso di legno saluta il nostro passaggio e tra silenzi e confidenze e ameni paesaggi giungiamo al rifugio Stevia, baluardo al cospetto del Cir e del Sas Ciampac, osservatorio privilegiato sulle Dolomiti leggendarie. Affamati trangugiamo con ingordigia una pasta e, appesantiti dal fardello di grano duro con delizioso condimento, proseguiamo sulle pietraie salendo forcelle e scendendo tra mughi e detriti; il rifugio Firenze rimane tappa di passaggio (senza rimpianti!…aleggiava un vento di simpatia in svendita a buon mercato, ma forse era dovuto all’afflusso industriale di turisti da accontentare, mah…) sulla mulattiera che conduce al rifugio Fermeda, primo obiettivo.

Nonostante il “lusso” delle camere ed il luogo, squisitamente turistico coi caroselli da sci del Seceda, l’atmosfera nei dintorni del Fermeda era silente e suggestiva. Una chiesetta alpina al tramonto tra rivoli di luce rossastra farsi largo nelle nubi inoffensive tagliate dai contrafforti delle Odle ha giustificato la sosta in quel luogo.

Una piccola televisione (elemento poco ortodosso visto come la pensiamo, ma ahimé c’era… e per fortuna non ci sarà più!) ha consentito a Massimo e Franco, appassionati di basket, di farsi del male guardando la finale sfortunata dell’Italia alle Olimpiadi.

Io intanto nel buio della stanza, osservando i profili delle cime dalla finestra appannata, riflettevo. Stranamente e nonstante l’affiatamento, stavolta percepivo in noi quattro un clima apparentemente meno ciarliero, più riflessivo, solitario, come se ognuno avesse importanti macigni interiori da meditare. Era una strana sensazione, quasi timorosa. Oh cavoli, non siamo mica omologati… non siamo standard negli atteggiamenti o nei pensieri… le esperienze, la stanchezza, le emozioni, i luoghi, le fragilità, le sicurezze, tutto è in continua evoluzione… e anche l’amicizia tra di noi; proprio questo senso contemplativo ha donato ai discorsi un valore aggiunto di solidarietà, di vicinanza, di fiducia e rinsaldato ancor di più la nostra passione per la montagna. Il sonno ristoratore di Morfeo è stato un toccasana per il corpo e per la mente.

ll giorno successivo l’itinerario si è snodato da forcella Pana sino al rifugio Genova tra ghiaioni, praterie, boschi e solchi vallivi, sul fianco nord delle Odle. Lame infilate tra terra e cielo, dolci e sensuali pareti che echeggiano sinfonie d’autore e l’imponente sagoma del Sas Rigais, generoso gigante che osserva dall’alto il ritmo del tempo e delle stagioni.

Grandioso itinerario tra praterie perfettamente ordinate, con al centro malghe agrituristiche gestite con una precisione ed un rispetto tipiche di queste valli sudtirolesi e la Val di Funes che si distende verso Ovest è un presepe favoloso.

Su di un pianoro idilliaco poi, le nostre membra si riposano con la compagnia di un complessino folk al quale non possiamo non aggregarci nel canto e, colmo dei colmi, incorciamo proprio qui un altro gruppetto di vittoriesi a zonzo per i monti.

Al rifugio Genova l’ospitalità è cordiale e per la nostra gioia la camera è da quattro! La sera se ne va tra strudel, “ciacole” con altri escursionisti americani ed inglesi, uno sguardo all’itinerario che ci aspetta, le sfide a scala quaranta… dove io partecipo giusto per far numero… ma Max, che le vince tutte, com’è quel detto? Fortunato al gioco… Simpatica (per noi) la scenetta, protagonista un cameriere un po’ goffo, che portando un vassoio con jogurt e mirtilli ha urtato contro uno stipite e… il resto lo lascio alla vostra immaginazione, certo è che le risa nella sala gremita si tenevano a stento.

Nuovamente notte e nuovo mattino sulla tavolozza del Creato.

Il tempo è minaccioso ma le nubi e le nebbie rendono tutto più affascinante, più avventuroso, squarci tra le cime creano scenari fantastici che l’obiettivo rapisce ed archivia per i ricordi. Siamo nel cuore del parco naturale Puez- Odle, i due gruppi montuosi si danno la mano, si passano il testimone. In mezzo ai due giganti il nostro passaggio solletica, ogni tanto il sole ci sorride. Pulsa una vena immacolata che ara in profondità i nostri cuori, liberando sogni, speranze, inibizioni. Camminiamo felici. Non importa la meta, l’essenza è il cammino. Un breve ma significativo tratto attrezzato ci impegna l’attenzione che è ben ripagata ai piedi del Piz Duleda, sulla forcella Nives.

Rocce, rocce, rocce e ancora rocce, tutt’intorno è grigio, nuvole, nebbia, rocce, pietre… un penetrante, intenso, profumato, reale, avvolgente mondo colorato delle tonalità del grigio.

E noi quattro lì, seduti sulle crode, rapiti. Se il genio della lampada sbucasse da un nuvolone, uno dei desideri sarebbe questo momento. Alfine il rifugio Puez. E il pomeriggio si rivela esplorativo. Un passo tira l’altro e col desiderio della cima, ecco sotto i nostri piedi il Piz de Puez e il panorama incontrastato a perdita d’occhio. Quassù la natura torna bambina. Guardo con tenerezza Marcello che costruisce gli omini di pietra ed ùltima un riparo di sassi per il vento impetuoso (ma ve l’immaginate ‘sto armadio vichingo a giocherellare coi sassi?! E guai dirghe qualcossa! L’era proprio tornà tosatèl) Ho dei flashback… appoggiato alla croce col libro di vetta in mano mi rivedo bambino giocare a “figurine” piuttosto che a “vierine”; è l’altitudine che dà alla testa?! Siamo entrambi “rimbam…bini”?!? Più semplicemente l’anima lassù ritrova la serenità! Guardo a Sud-est e vedo il Sassongher, monolito simbolo dell’Altabadia. Scendendo ci lanciamo saluti fraterni con Franco e Massimo che erano nei dintorni del rifugio, poi è sera, fa freddo e i silenzi della notte scendono a coprire delle loro voci il rifugio. All’interno magicamente la serata si riscalda, un unico manipolo di italiani, noi, a intonare e duettare canzoni col resto dei commensali, una babele di mondo che si unisce per l’occasione, con repertori che vanno dagli inni nazionali a “Bella Ciao” cantata da un tedesco di nome Wolf, il che è tutto dire; quando poi al coro si uniscono i gestori, le melodie si diffondono nell’aere assieme agli odori inconfondibili del kümmel e del mirtillo.

La simpatia regna sovrana e poi ad un’ora saggia la compagnia si addormenta nelle cuccette, il rifugio titrae le luci e la nebbia ovatta la notte e s’impossessa dell’altopiano del Puez.

E’ l’alba e il tempo non promette nulla di buono, un grigio malinconico che s’intona perfettamente al ritorno. Saluti intrisi di emozione, scambio di pensieri e via, “imcabuccati” come Babbi natale fuori stagione ce ne torniamo a valle per la Vallunga, lunghissima discesa verso Selva. E percorrendo quei sentieri appena levigati da un profilo d’acqua che scende soavemente ad inumidirci visi e paturnie, i pensieri vagano liberi.

E ripenso all’umanità incontrata, all’intreccio di sensazioni e parole, alle foto scattate (che nonostante tutto saranno nel tempo i flash che aiuteranno a ricordare), alle riprese video di Marcello, sapiente regista oltre l’obiettivo; ai cieli limpidi ed ai panorami impressionanti del primo giorno; alle malghe vissute del secondo giorno; ai sentieri d’alta quota ed alle vette del terzo giorno… Un branco di cavalli avelignesi spazzola i fili d’erba, un timido raggio di sole illumina i nostri occhi di gioia vera, un’amicizia che travalica le fantasie e unisce i sogni. Volgo lo sguardo e ammiro ancora una volta quella galassia di pianeti color dolomia che mi circonda e sorrido di felicità.

Allegramente, scendendo tra i sentieri ci è venuta un’idea, www.bortolot.it, per condividere con voi che avete avuto la pazienza e la bontà di leggere, il “nostro” mondo, la montagna.

Robi, un Bortolot

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