Sul Pasubio in “Carega”

Da una Storia Vera un Film Vero

dal 25 al 28 agosto 2016 su tutti i sentieri di montagna
da un’idea di: Michele da Sarmede
con: I BORTOLOT (gruppo escursionistico)
Musiche: brani popolari a cappella, a volte con accompagnamento di Francochitarra
Fotografie: Max Talamone
Scenografie: Pasubio e Piccole Dolomiti (Veneto Centro-Occidentale)
Trasporti: el furgon de Robiortolot
Produzione: BBC (Bortolot BroadCAI Companyclub)
Mappatura: general Marcel JFTadiot
Medico: doc Giovanni Fenzi
Caffè: Mic
Guest star: direttamente da Colliwood, Federico poeta pirata
Regia: I BORTOLOT (Marcello, Franco, Massimo, Roberto, Giovanni, Michele, Federico)
Un ringraziamento particolare a Marcello, della ditta di legnami da ardere DO ZOC, per il patrocinio

Agosto del ’16… faceva caldo, le giornate erano splendidamente serene e i Bortolot si apprestavano al ritrovo annuale, lo scanzonato giro per sentieri, rifugi e animi umani. Il pullmino a otto posti di Robi, in gergo “furgon” sbuffava in trepidante attesa di viaggiatori.

E’ un giovedì e si parte… ma anziché dirigere a nord si imbocca l’autostrada e solcando le antropizzate piane dell’alto veneto, ci si inoltra a sud-ovest verso le Piccole Dolomiti vicentine, che si ergono come contrafforti inespugnabili dalla cappa afosa della pianura. Siamo ancora tramortiti dagli orari di lavoro e l’idea di vacanza piano piano si impadronisce delle nostre menti travasando dolci pensieri rasserenanti di mulattiere e ristori così da bendisporci al cammino dei giorni venturi.

Dal passo Pian de le Fugazze al rif. Achille Papa la strada è una comoda mulattiera di “guerra” tagliata qua e là dal sentiero e la proiezione a sera ci dispensa un tramonto stellato di un rosso spettacolare sopra un mare di sfumata foschia. Il rifugio è costellato di lapidi e targhe commemorative su personaggi, reparti, situazioni che riportano direttamente al ’15-’18. Fermi… raccolti… ammutoliti… ripensiamo ai nostri nonni e bisnonni… quassù dove siamo arrivati coi moderni zaini regolabili in verticale ed orizzontale, con le magliette bagnasciuga, con whatsapp, gprs e altimetri frequenziometri contachilometri passometri e barrette energetiche… sì proprio quassù a circa 2000 metri di quota, lontani almeno tre ore abbondanti a piedi e con buona andatura da qualsiasi insediamento umano… quassù – dicevo – nell’inverno ’17-’18 hanno vissuto, combattuto, molti sono morti, i più per fortuna sono anche ritornati a casa, anche se sfiniti nel fisico e nell’animo: i nostri “veci” e i “boce”, i famosi “ragazzi del ‘99”.

Loro però, estate col caldo, inverno con la neve, mezze stagioni con vento e pioggia, sempre col solito abbigliamento di stoffa e calzature rivestite di “pezze”… e niente telefoni, men che meno barrette, tutt’al più ranci di brodaglie in gavette… in tricee e gallerie tra fango e sogni, pulci e nostalgie…

Li guardi sulle foto d’epoca e par che sorridano, nonostante il disagio hanno la speranza e la forza di pensare a casa ai propri affetti, alle mamme, alle morose… ‘sti ragazzini di 17-18-19 anni… ”eroi” di una guerra insensata e tragica che li ha decimati e ripensi ai nostri diciott’anni… ai diciott’anni dei nostri figli… alle comodità… alle generazioni che da questi “eroi”, da quelli che la guerra ha risparmiato e che sono tornati, si sono succedute… generazioni che ora tornano su quei sentieri con sensazioni di pace, con relazioni di amicizia, soprattutto centinaia di “ciao” detti a tutte le persone che si incontrano sul cammino.

Memorie che sembra assorbano il tempo e invece sono passati pochi attimi… siamo ancora lì, assorti e sudati davanti al rifugio in attesa di salire. Poi la sera a cena a confabulare divertendo i vicini commensali, ospiti come noi… (ah! a proposito! la zuppa di patate e porro una squisitezza!). Un tuffo nella cartina Tabacco ci riporta a fantasticare sui sentieri per scegliere l’itinerario del giorno successivo che si snoderà tutto sul terreno “sacro” del Pasubio.

l’Articolo Apparso sul Notiziario Sociale n° 1 Dicembre 2016 Anno XLII, della Sezione di Vittorio Veneto del CAI

L’alba del venerdì raccoglie nel cielo tutte le tonalità dell’azzurro, dal celeste chiaro al blu profondo mentre le nebbioline mattutine si levano dalle valli incuneate… una gioia per le pupille che rimangono incantate da tanta magia. La colazione energetica ci invia. Partiamo col nostro carico di curiosità e subito incrociamo un gregge di pecore in transumanza alpina che si recano ad abbeverarsi ad una pozza… mentre il nostro sentiero si snoda tra camminamenti, trincee, postazioni, ruderi e giunge fino in vetta al monte Pasubio, Cima Palon, costellata di gallerie e cunicoli… dove l’esplosione di una mina austriaca nel ’18 causò la morte di tanti giovani soldati italiani ancora lì oggi, sepolti dai detriti (poi il luogo prese il nome di Dente Italiano e Dente Austriaco, in ricordo delle postazioni) e da lì lo spazio ci avvolge a 360° per una vista incredibilmente lontana… dalle Dolomiti Cadorine (anch’esse scenari di battaglie e mine) alle montagne dell’Alto Adige, all’Adamello (la guerra bianca), ai monti Lessini, al monte Baldo, all’altopiano di Asiago e al Grappa (ennesimi teatri di scontri cruenti)… e su cotanta spettacolare, naturale bellezza, col sole ad illuminare visi e boschi, fatiche e radure, amicizie e rocce, la riflessione non può che andare a ritroso nel tempo e cercare e comprendere ed immaginare la vita quotidiana tra quelle montagne, fredde e nevose d’inverno, calde e secche d’estate, umide e piovose nelle mezze stagioni… vita che i soldati dei due eserciti hanno affrontato durante le lunghe ed interminabili ore in trincea o nelle gallerie, in attesa di qualcuno o qualcosa, un movimento, cercando di scrivere a casa, oziando nel freddo… inconsapevoli ed ignari della sorte che li avrebbe travolti o risparmiati… dove i profondi silenzi erano rotti solo dal sibilo del vento e dal rumore delle valanghe… e dove i sordi rintocchi delle esplosioni erano tuoni continui.

Ecco, la vita di quei tempi in quelle lande inospitali noi la possiamo solo lontanamente immaginare… loro, quei ragazzi, l’hanno vissuta nel proprio inconscio, quella tragica e insensata guerra l’hanno subita e mai più digerita.

In quel deserto dei Tartari ancora si ritrovano cimeli, schegge di granata, filo spinato in quantità industriale, pezzi di legno resti di baraccamenti e scale… e poi quelli che oggi chiameremmo rifiuti domestici, resti di scatolette di latta in discariche disseminate un po’ ovunque, tutto ormai preda della vegetazione e del tempo che arrugginisce e che consuma… ma senza dimenticare.

Un sentiero a mezzacosta attraverso distese di mughi, ci ha condotto al rifugio Lancia, strategico rifugio in posizione ideale in un crocevia di sentieri e mulattiere… non lontano dal Corno Battisti, cima così battezzata in onore di Cesare Battisti, medaglia d’oro, perché lì catturato nel ’16 assieme a Fabio Filzi.

Il ritorno sui crinali ad est sempre su sfasciumi e postazioni, linee trincerate e sentieri di vedetta… attraverso altri luoghi simbolo, fino nuovamente al rifugio Papa, preziosa scatola accogliente dove ritemprare le fatiche e rimuovere le malinconie.

Sabato mattina è calore che si irradia tutt’intorno e con gli occhi strabuzzati vediamo spuntare dalla strada degli Scarubbi (altro accesso militare dal passo Colle Xomo) i due Bortolot atletici, Mic e Fede che ancora mancavano… loro, sveglia all’aurora e gran sfacchinata di primo mattino per ricongiungersi a noi.

Il tempo di un caffè e gli scarponi si rimettono in moto alla guida del nostro general Marcello (alpino orgoglioso)… pochi passi dal rifugio e si entra nella prima delle gallerie della strada appunto detta delle 52 gallerie (costruita a tempo di record dagli italiani per effettuare i rifornimenti in quota al riparo dal fuoco dell’artiglieria austroungarica), ma prima di entrare lo sguardo si incanta di fronte alla targa ricordo dedicata al presidente Pertini, che da giovane sottotenente ha combattuto su queste rocce.

Come salmoni controcorrente scendiamo velocemente la strada con la marea di escursionisti e turisti della domenica che invece lentamente sale lungo i tornanti e dentro e fuori dalle gallerie, tra speroni di roccia, canyons, salti nel vuoto, torrioni e spigoli aerei… e un raponzolo di roccia, raro fiore romantico, si erge a coraggioso pioniere, sentinella in una fessura rocciosa.

Dal Colle Xomo un passaggio provvidenziale ci dà uno strappo fino Pian delle Fugazze… e lì gran sosta culinaria all’osteria sul passo con contorno di battute e popolari canzoni per dessert (voto dieci ad un tiramisù da leccarsi i baffi).

La ripartenza con la “panza piena” non è il massimo, ma per noi Bortolot si tratta di orgogliosa ostinazione; avanti tutta come gli arditi fino a schiattare di fatica, ma in cima o almeno fino al prossimo rifugio. E così è stato, con un susseguirsi di curve di livello, scollinando un boschetto ordinato e poi giù tra le radici degli abeti invasori di sentiero e scarpinata prativa a slalom tra le mucche… e alla fine siamo giunti al rifugio Campogrosso sull’omonimo altopiano (una specie di Cansiglio). Diciamo che l’arrivo sembrava un’entrata in un parcheggio, vista la quantità di macchine arrivate dalla zona di Recoaro (dal Pian delle Fugazze la strada è chiusa al traffico per chilometri)… al contrario, la sosta al Campogrosso è stata piacevolissima e densa di momenti “significativi” (ben due addi al nubilato e celibato hanno allietato la serata… vi lasciamo immaginare…).

Evviva i futuri sposi novelli!! Noi intanto il nostro relax ce lo siamo concessi sulla terrazza erbosa del rifugio al calar del sole, tra noi sette compatti, sottofondo di chitarra arpeggiata, a parlar dei nostri figli, alcuni ormai grandi, altri più piccoli ancora a scuola o all’asilo, delle nostre spose, compagne, morose… di tutti gli incastri che la vita ci propone, giorno dopo giorno, del tempo che, inesorabile, scandisce la differenza tra il dire e il fare, certifica la qualità delle relazioni, rintocca speranze e sogni ancora da realizzare. Sono passati tanti anni e noi Bortolot siamo ancora in giro per le montagne coi nostri zaini colmi di amicizia e passioni e tanta voglia di setacciare altre valli, altre vette, altre sfaccettature dell’animo umano.

Quest’anno il tempo è sereno come non mai ed anche la domenica si apre tersa e con temperature godibili.

Siamo gli arditi in attesa dell’assalto finale, la conquista della cima del Caréga e del relativo rifugio Fraccaroli. Partiamo carichi di energie e consapevolezze… sarà una “faticaccia”. Il sentiero costeggia il massiccio tra faggete e radure per poi inerpicarsi su per una forcella ghiaiosa piuttosto lunga e ripida e poi ancora un su e su e… ancora su in lungo e di traverso, fino ad arrivare sul nido d’aquila dove sorge inaspettatamente il grande rifugio Fraccaroli, appena sotto la cima del Caréga, che raggiungiamo in breve.

La cima è fatica e sacrificio… ripagate dalla conquista e dalla soddisfazione di vedere il mondo dall’alto, da altre prospettive, altre angolazioni… ad esempio salutare da più vicini al cielo l’amico Toni, che ha preso la residenza in Paradiso… e che osservandoci da lassù avrà visto il lenzuolo della nostra amicizia ”ma il cielo è sempre più blu, ciao Toni”.

E dal Caréga si può ammirare in tutta la sua vastità il massiccio del Pasubio e, chiudendo gli occhi, immedesimarsi nell’autunno del ’18, al momento dell’armistizio e del “rompete le righe, tutti a casa”, la gioia incontenibile che avranno provato i soldati che così potevano ritornare ad abbracciare i loro cari.

E alcuni di quei soldati erano ragazzi del ’99… erano di Vittorio Veneto e circondario… uno era il nonno Paolo… se capiterete da quelle parti, chiedete al gestore del rifugio Papa che vi faccia leggere il “libro d’onore dei reduci del Pasubio”… gli brilleranno gli occhi e ve lo porgerà con la delicatezza di custode di un tesoro… e così potrete capire perché certi uomini e donne scelgono la vita da rifugista.

Gioia incontenibile che proviamo anche noi Bortolot che al ritorno ci fiondiamo giù per un bellissimo ghiaione come ragazzini e poi velocemente fino al Campogrosso per chiudere il nostro giro con un gran panino col pastìn e birra da mezzo, mentre attorno impazza una festa alpina con musica e balli.

Mentre ripercorriamo l’asfalto verso casa, via radio sentiamo il “BOLLETTINO DI PACE DELL’ESTATE 2016, DIRAMATO DAL COMANDO GENERALE DEI BORTOLOT:

-dal 25 al 28 agosto del 2016, i gruppi del Pasubio e del Caréga, che da tanti anni erano in lista ai desideri di conquista, sono stati finalmente percorsi in lungo e in largo dal Gruppo Escursionistico dei Bortolot al gran completo, storici soci CAI e sostenitori del saluto di pace su ogni sentiero… sfaticando e cantando, raccontando e conoscendo, lasciando sulle praterie attraversate un gran senso di divertimento e sensazionali aneddoti e pensieri di umanità per tutti i ragazzi, di tante nazioni, che su quei sacri terreni hanno combattuto cento anni fa. Viva le montagne, viva la vita, viva la pace.”

ROBI Bortolot

 

Trovate anche qui il Pdf dell’articolo apparso sul n° 1 Dicembre 2016 Anno XLII del Notiziario Sociale del Sezione di Vittorio Veneto del CAI.

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