La Civetta è sempre lì – In rotatoria sul Canaloni Rocciosi della Grande Parete

La partenza. L’adunata dei Bortolot è a luglio, un caldo luglio… di notte il veliero a quattro ruote salpa direzione Pecol in Val Zoldana dove ci si riposa in vista della traversata, il nostro obiettivo 2007 infatti è la grande circumnavigazione della mitica Civetta, maestosa barriera di calcare tra zoldano e agordino. È mattina presto quando leviamo le ancore e prendiamo il largo alla volta del rif. Coldai, prima boa dell’isola di pietra. Il tempo è stabile e gli scenari si stagliano di fronte, l’orizzonte lì, al di là delle onde; tornanti ci conducono in alto, oltre le malghe e i boschi di abete rosso. A grandi remate arriviamo al Coldai per il te di rito dopo le prime fatiche.

La navigazione. In stiva soliti zaini carichi del necessario; a chi scrive scarponi nuovi danno qualche problema di adattamento; attrezzatura fotografica massiccia per il nostro Massimo che punta a vincere il “Pulitzer”; Franco con lo “spettro” matrimonio che lo attanaglia; Marcello in perenne litigio col cellulare urlante di lavoro da sistemare. Poco importa, la nostra nave va veloce su per le insenature di pietra e incontra un laghetto affascinante che specchia le perle dolomitiche e spiaggianti figure femminili sulle sue sponde… e Massimo immortala tutto da esperto paparazzo nascosto tra un panino e una stringa di scarpone… i nostri passi nuotano lesti su ghiaioni infiniti a ridosso della grandiosa parete nord della montagna, la parete di Philipp, di Flamm, di Solleder, la parete delle pareti, il muro delle vie che hanno fatto la storia dell’arrampicata su roccia. Un fiordo che non finisce mai si incunea sin su al rifugio Tissi, ideale panorama sulla croda silente e balcone privilegiato su Alleghe ed il suo lago dai mille misteri… Al rifugio la cucina pareva attenderci con le sue specialità, anche con un eccezionale condimento di pepe causa un tappo mal riposto… che ridere e che ugole poi con la chitarra provvidenziale tra le mani del Pippa. Dai finestroni e dal binocolo del rifugio osserviamo intrepidi alpinisti in prima ripetizione di una famosa via… tutti col naso all’insù e il cuore che batte per le loro gesta. Ma la nostra meta è un’altra, il tempo passa, dobbiamo ripartire e allora via a remare tra canaloni di mughi e praterie brucate, docili sguardi di mucche al pascolo ci scortano tra le maree di genzianelle e i flussi di tarassaco… e sul finir del pomeriggio si attracca al rifugio Vazzoler con la Torre Trieste e la Torre Venezia lì a far da sentinelle.

Nel refettorio del rifugio si levano fiumi di parole, intrighi di pensieri; osservo con divertita simpatia gli atteggiamenti dei commensali di vari tavoli, intenti chi a dialogare, chi a guardare concentrato le mappe, chi a divorare avidamente le portate… una miscela davvero eterogenea di stili, di volti, di voci. E comunque un comune intento, vivere la montagna in semplicità. La spartanità, la condivisione in un rifugio alpino è evasione dalla frenesia del mondo moderno per riappropriarsi del tempo, è viaggiare in barca a vela con la sola forza del vento. Io quasi addormentato fin dentro il minestrone vengo ridestato dal vociare dei miei compagni di viaggio che così mi evitano faccia odor di brodo.

La scala quaranta di rito chiude la serata. Una mattina radiosa ci riceve ancora assonnati tra le sue spire… carichi di adrenalina ricominciamo la nostra navigazione su quei dossi dapprima ondulati poi sempre più irti. A un bivio incontriamo Michele e il suo amico di cordata che si apprestano a scalare spigoli e diedri, fessure e tetti, un in bocca al lupo e via nuovamente a remare tra schizzi di carpino e ondate di mughi, lentamente ma inesorabilmente l’oceano sale, sale e sale ancora, il dislivello è un’onda altissima che si riversa sul Vallon delle Sasse. Marcello è il nostromo esploratore che se ne va tra gli abissi… io e Franco diligenti vogatori, il due con… fatica; Massimo imprevedibile per le foto da sotto, sopra, di lato, interne, esterne, con e senza ombrello, sempre un pelo più in là o più in qua, mai con, piuttosto senza e vabbè, l’alchimia tra di noi è proprio questa, tutti dignitosamente diversi, ma amici veri. La discesa dalla forcella verso il sentiero Tivan è un incredibile rafting spaccagambe, piedi, tendini, muscoli, ma il pensiero al tramonto sulla cima e all’alba seguente ci carica e la fatica si riposa dalle nostre menti. È il punto G o meglio X, si attacca il mare di crode per la vetta.

La via è normale ma le nostre gesta no. Superiamo i nostri limiti di normalità (ma cos’è normale?!) cavalcando il ghiaione e superando il primo tratto di attrezzato… cavalchiamo un secondo verticale ghiaione e un secondo verticale attrezzato.

Di là, nello sconfinato cielo dolomitico, il Monte Pelmo è un caregon sul serio, una poltronissima allacciata a un verde intenso che gli fa corolla alla base. Le “cordate” si dividono, Franco e Marcello ci precedono di qualche centinaio di metri, io e Max che ha un ginocchio dolorante procediamo più lenti. Vogatori di ritorno salutano festanti e gioiosi la meta raggiunta e ci incoraggiano. Guardo con estasi l’incredibile bellezza che ho attorno a me… le rocce, i prati, le valli… sono fortunato ad essere nel mezzo di questa attraente e seducente galassia naturale.

La rinuncia. Ci riposiamo su un terrazzino. Poi l’imponderabile si impossessa del destino; il ginocchio di Max fa crack, fors’anche la sicurezza mentale. Sono impotente e protagonista spettatore di una rinuncia sofferta, non si può proseguire, lo scafo ha una falla, anche i due in avanscoperta salgono sulla scialuppa che riporta tutti e quattro a lidi sicuri, sentieri orizzontali che macinando la sera ormai imminente conducono al porto di partenza, il rifugio Coldai. Nei nostri cervelli si sono accumulati pensieri di tutti i tipi, tramonti che rimangono sogni, albe che restano nascoste, ospitalità di rifugi (in questo caso il Torrani) da scoprire.

Le certezze. La cima della grande Civetta rimane da noi inviolata, ma l’amicizia, la condivisione, la solidarietà sono valori irrinunciabili, la vetta starà lì in attesa di un altro tempo… così come anche il gestore del Torrani che ci aspettava e al quale inviamo l’invito a bersi una birra con noi, naturalmente a lui dovuta con le nostre scuse. E poi la sera al Coldai, un porto di mare stracolmo di gente (a noi per dormire è uscita in sorte la lavanderia, ma che fortuna e che allegra ciurma di bucanieri sono stati in nostra compagnia) ha creato le atmosfere di magico divertimento con due personaggi del luogo (che salutiamo) e due belgi in tour itinerante tra le Dolomiti. È mattina, no meglio, è l’alba, un’unica bassa marea in un golfo azzurro è il cielo sopra di noi; tiepidi raggi la inondano di riflessi e la marea prende colore, e il colore riflette con le sue tonalità i nitidi profili del Pelmo e i contrafforti vicini della Civetta. Mentre due poltroni sonnecchiano, io, appollaiato su di un masso, guardo incantato l’oceano terrestre con le sue dune rocciose e i suoi viraggi di colore mentre Massimo scatta pellicole di foto a memoria dei ricordi, negativi dei racconti… poi, durante la chiassosa mattinata che si apre, torniamo a valle e il mondo luminoso sul mare fossile rimane lì, con le sue storie e le sue vite.

Robi

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