Lasciarsi Comandare… in Settembre sulle Pale di San Martino

Uno sconsolato agosto ha piovuto pioggia per ventitré giorni su trentuno! Per fortuna un inizio settembre dai colori meravigliosamente tersi segue la comitiva dei Bortolot che si è messa in cammino verso le Pale di S. Martino. La mitica punto/tipo bianca è ormai un ricordo chissà, forse sarà riciclata in nuove lamiere o portacarte in plastica o pensionata arrugginita da qualche sfasciacarrozze, con rassegnato finto dolore di Marcello che nel frattempo si è fatto una utilitaria nuova di zecca. A proposito, quegli animaletti (zecche) così fastidiosi, quest’anno sembra abbiano colonizzato e infestato anche zone solitamente immuni ed altitudini insospettabili… forse che i prati incolti stanno aumentando e che la montagna sempre più si sta spopolando? Mah, di seconde, terze, quarte e via dicendo case, oppure di impianti di risalita in via di sviluppo ci è sembrata “popolata” la montagna; di gente che con fatica e sudore e poco reddito la vive e la lavora invece molto meno. Orecchie anzi occhi e riflessioni per intenditori… Insomma anche noi, presi da raptus Lamon e fatto un veloce referendum davanti a un buon prosecco una sera da Peo, abbiamo messo l’indice sulla mappa e scelto di passare in Trentino, ma purtroppo quattro soli giorni delle nostre agognate, sognate e sospirate ferie.

È mattina al Cant del Gal, fiabesco e incantevole luogo, verde rigoglioso di suoni e lineamenti e il nome tutto un programma. Svegli e intrepidi mangiamo in fretta il dislivello fino al rif. Treviso già Canali, e lì quasi “perdiamo” Max che, reduce dalla precedente serata conviviale, ancora non ha digerito ed i suoi passi sono sostenuti da continue e sonore lamentele. Naturalmente per star meglio, al rif. ha ordinato tè caldo (e ci siamo) e… strudel (e qui non ci siamo). Timbrato e recuperato anche un giro di cintura del Max, si riparte e con infinite serpentine irte e regolari ci si addentra e innalza sul Vallon delle Lede fino all’accogliente bivacco Minazio, proprio sotto i contrafforti della Cima del Conte e della Cima Canali e proprio su quella parete alcuni rocciatori stanno scendendo in doppia e quando giungono al bivacco ci rendiamo conto che dei rumori sentiti poco prima erano sassi rotolati che ad una di loro avevano provocato una vistosa ferita alla testa nonostante il caschetto. Ben medicata e col motto “tutto ben quel che finiss ben”, ripartiamo ancora in decisa salita alla volta del passo delle Lede e in forcella la fatica lascia il posto alla soddisfazione incredibile di una vista fenomenale sull’altopiano delle Pale con le sue cime più famose lì, ferme, immobili crode plasmate dal tempo, davanti al nostro iride… e giocoforza davanti all’obiettivo del nostro fotoreporter che già ha riempito memorie su memorie digitali (per il sito www.bortolot.it naturalmente…); peccato che invece la sua memoria analogica, il cervello, ogni tanto vada in “stand-by”. Di lì tutta discesa fino al rif. Pradidali. E qui la sorpresa è stata grande.

Abituati a stagioni e luoghi durante le quali a pernottare nei rifugi non vi era quasi nessuno, stavolta al contrario tutto pieno, soprattutto gruppi di alpinisti/rocciatori. Molte infatti le cordate sulla Cima Pradidali e Campanile, sulla Cima Immink, sia del CAI coi corsi roccia che di appassionati. Con dei ragazzini passiamo il dopocena cercando di intuire con la logica la risoluzione di alcuni giochi da tavolo… ma l’unico al quale la logica non fa difetto è il solito Massimo che li risolve tutti… sulla logica degli altri tre stendiamo un velo pietoso. E come a Roma e Torino anche in rifugio è proposta la notte bianca, anzi in bianco! In effetti la camerata dove io e il Franz eravamo accampati ospitava tutto il campionario possibile di personaggi notturni… un’isterica e insonne filosofica zitella che sospirava imprecando a voce alta ad ogni movimento, anche solo al respiro e che si era appropriata di ogni piccolo spazio sottosopra e adiacente al castello, della serie “quel che te vede le tut meo”; due polacchi con levataccia all’alba di un’alba dell’alba, le quattro, e conseguente rumorosa attività di lavaggio, vestizione e preparazione zaino, della serie “ciapen tut el poc temp che ven, ala facia de chi che à da dormir”; l’insonne che si rigira perennemente sulla branda, naturalmente quella con la rete che cigola di più; e non poteva mancare il fenomeno che dorme più di tutti (e che al risveglio ha sempre il coraggio di dire “mi no ò dormì gnent stanòt…”) ma che russa con tutte le tonalità e armonie possibili, dalla bocca aperta, alla moka del caffè, al masticamento con assaggio, al fischio ed alla rullata che innesca lo stress a catena di tutti gli altri. Meglio è andata a Max e Marcello in un’altra stanza, beati loro.

E la mattina con le borse sotto agli occhi i passi se ne vanno con lo scarpone automatico su per il sentiero fino al Passo Pradidali e da lì fin sotto al ghiacciaio della Fradusta. A questo punto i “destini” dei quattro compagneros si dividono, Massimo con la sua fotocamera a sviscerare tutti i segreti della bocca del ghiacciaio (sempre più ridotto) aperta sul laghetto (sempre più vasto), fotografato da ogni millimetro di lato; Marcello in solitaria esplorazione e videopresa del sentiero che porta alla vetta e il duo RobiFranz ad “aprire” un sentiero tra le cenge scoperte che il ghiacciaio ha lasciato, regredendo e dividendosi in due tronconi. “I coraggiosi alpinisti si arrampicavano con intrepida decisione, noncuranti delle difficoltà e con sprezzo del pericolo attraversavano le bastionate rocciose del ghiacciaio, raggiungendo in breve con passo felpato il sentiero che li avrebbe condotti alla cima… ecc. ecc.”; così forse se avessimo visto un cinegiornale dei tempi passati, più semplicemente direi che i due incoscienti si sono avventurati tra le rocce levigate ed esposte e faticando non poco sono arrivati a un certo punto sul tracciato normale (scampato pericolo! … no ‘ndar a pericolar no?!?), poi in breve sulla vetta della Fradusta.

Qui i Bortolot ricongiunti hanno festeggiato un compleanno e la maestosità del panorama. Altri escursionisti giungevano in vetta e sul viso di ognuno di loro si leggeva la soddisfazione di poter guardare e riconoscere dall’alto in una giornata splendida tutte le più belle cime dolomitiche, Antelao, Pelmo, Marmolada, Civetta oltre naturalmente ad indicare una ad una le superbe Pale, il Cimon, il Sass Maor, Cima della Vezzana, i Bureloni/Focobon, le Pale di S. Lucano e il mitico Monte Agnèr. Poi la discesa e il viaggio lunare su e giù per l’altipiano fino al rif. Rosetta.

La sera in rifugio è una rifocillante cena e uno sguardo divertito alle “aquile delle dolomiti”, arzilli triestini over settanta con maglietta gialla d’ordinanza e pancetta incorporata, che festeggiavano il decennale del loro nutrito gruppo con canti popolari e fotoritratti di rito. Coi soliti nostri tempi ristretti (e per evitare di rimanere di più in un rifugio dalla gestione un po’ “fredda” e soprattutto coll’incubo dell’insonne zitella del rif. precedente che nel frattempo era soggiunta a sorpresa!!!) il giorno seguente abbiamo deciso di puntare direttamente verso sud, tralasciando la parte nord delle Pale e quindi abbiamo percorso il sentiero per il Col delle Fede e Col dei Bechi, tra scenari di gratificante serenità e poi su nuovamente a zigozago fino ad arrivare al rif. Velo della Madonna, gioiellino accogliente e familiare, posto su una bastionata sulla Val Cismon, al cospetto dello spigolo del Velo, via alpinistica famosa e gettonatissima dalle generazioni attuali. Al nostro arrivo erano le tre del pomeriggio, ma nonostante l’ora tarda una pasta fenomenale ha attraversato il nostro apparato digerente soddisfandolo appieno per bontà e qualità, plausi al cuoco.
Il tempo poi se ne è corso via lento quasi per farci godere totalmente della bellezza dei luoghi, del fascino discreto del tramonto piuttosto che della ospitale discrezione dei gestori. Davvero una sorpresa positiva questo rifugio, un davanzale (anzi due…) che osserva le magie sul Catinaccio, Latemar, sui Lagorai, Cima d’Asta, Vette Feltrine e oltre, in fondo prima delle distese pianeggianti, il Visentin e le Prealpi Venete. Rifugio frequentato da guide alpine con figli al seguito; rifugio gestito da una guida alpina, che serve a tavola, che fa due chiacchiere con gli ospiti, che fa lavori di manutenzione sulle ferrate, che porta sulle vie i clienti, che ti indica con sapienza nomi e storie delle montagne intorno. Una guida alpina sui generis che è lassù, dove volano le aquile, da quattordici anni e ha un figlio che ne ha quattordici di anni e che una mattina lo vedi, quel ragazzino, sullo spigolo, a roteare nell’aria in cordata, regalo di Cresima del suo “santolo”, e la sua mamma trecento metri più in giù, al rifugio, col sorriso sereno ed il naso all’insù ad annusare il profumo d’amore di quel suo cucciolo d’uomo e ad accompagnarlo con lo sguardo appiglio per appiglio, teneramente e sicura della sua forza. Un gestore/guida alpina dalle idee chiare, che discute felice con noi di politica, turismo, attualità varia… un gestore che dall’alto (mt. 2358) del suo rifugio e della sua esperienza e del suo amore per la natura si può ben permettere di scrivere sul mio diario d’incontri che “internet = aria fritta”!… alle sei e un quarto Massimo mi butta giù dal letto e in apnea raggiungiamo la forcella della Stanga. Tempismo… al sorger del sole al di là delle rocce del Sass d’Ortiga mi è sembrato di veder sorridere la fotocamera…. che mirabolanti evoluzioni di colori in pochi istanti!!! La discesa dal Velo della Madonna è un grandioso e incontrastato sentiero naturalistico tra mughi, larici e abetaie e idilliaci solchi prativi puntellati di masi fino al Cant del Gal.

E mentre torniamo a casa ripensavo assorto a quei quattro giorni, durante i quali ci siamo lasciati comandare dai ritmi della terra, dai battiti del tempo, dal levar della luna, dal calar del sole, dal sibilo del vento, dal rotolar dei sassi, dallo sgorgar dell’acqua, dal calore dell’umanità incontrata nei rifugi… anche dal profumo delle “buazze”. Ci siamo lasciati comandare dalle sensazioni dell’anima… Poi una frenata improvvisa e mi sono ridestato e sulla Forcella Aurine una pattuglia dei carabinieri ci ha fermato e chiesto i documenti (eravamo in effetti “sporchi e pazzi”.. Bortolot pò!!!) e d’un tratto si è catapultati nuovamente alla vita normale… comunque tutto in regola!!!

Robi

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