Slavazzuoi. Dolomiti da Sogno – Da forcella Staulanza a Calalzo toccando la cima dell’Antelao – Un Grandioso Itinerario in Sei Giorni

E cinque! È il quinto anno che questa magnifica cosa esiste… sì, la chiamo cosa perché non è facile definirla… è intreccio di persone, è intreccio di storie, di pensieri, di obiettivi, di canzoni, di soddisfazioni e di fatiche, la chiamo cosa perché ogni anno cambia nome: quest’anno si chiama Slavazzuoi. È stata Sappadola, è stata Zoppada, poi è stata anche Cuoralba, poi Monvisontour, e infine questa volta è Slavazzuoi, e anche noi siamo gli Slavazzuoi. Facile, no? E se il nome ogni anno cambia, è la cornice di questo viaggio a rimanere la stessa. La montagna.

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Primo giorno, 10.08.2008
Ma veniamo al racconto. A Vittorio Veneto il grosso della comitiva sale sul treno aggregandosi ai quattro partiti da Conegliano. Così a Bubu (io), Buso, Denis e Sherman si aggiungono i vari Albe, Dario, Elisa, Franco, Gabry, Giomo, Lella, Lelle, Maki, Marica, Miki, Robi, Stefano. Si parte. A Longarone il treno lascia il posto alla corriera e questa, a Passo Staulanza, lascia il posto agli scarponi. Breve sosta al bar-rifugio sul Passo e partenza per il Giro del Pelmo, destinazione Rifugio Città di Fiume. Il primo tratto fino al Rifugio Venezia è facile. Una volta raggiunto, c’è la prima sosta “cibarie”. Tutto facile fin qui, ma poi la storia cambia: salita e fatica ci attendono. C’è chi sta bene e chi, meno allenato, avanza paonazzo tra lamenti e sospiri, ma tutti tengono duro. Una alla volta, le varie teste sbucano alle spalle di chi già sta facendo uno spuntino, illuminato dal sole che lambisce Forcella Val d’Arcia. Inizia qui la ripida discesa verso il Rifugio Città di Fiume. Siamo in ritardo, Don Giovanni Dan è d’accordo con noi di ritrovarci al Città di Fiume per una messa, ma lo facciamo aspettare un bel po’. Poco male, la montagna ha un orologio tutto suo, diverso dal nostro. E volenti o nolenti siamo noi a doverlo rispettare. Dopo una cena abbondante ci abbandoniamo tra le braccia di Morfeo, chi con sonno profondo e tranquillo, chi con la mente in preda a miriadi di pensieri.

Secondo giorno.
Lasciamo presto il rifugio sotto un cielo stupendo. Le macchine fotografiche lavorano incessantemente nel produrre vere e proprie cartoline, mentre il pestar degli scarponi, sopraffatto dalla chiassosa vena canterina degli Slavazzuoi maschi, ci conduce attraverso le quattro forcelle de la Puina, Roàn, Roan e Col Duro. Dopo qualche ora ecco Passo Giau dove l’affollamento del parcheggio del Rifugio ci da l’impressione di essere stati catapultati in qualche famosa località balneare. Un po’ spaesati da tutto ciò, decidiamo all’unanimità di ripartire. Qui il gruppo si divide in due parti, “escursionisti” e “ferratisti”, che si danno appuntamento in vetta al rifugio Nuvolau. I primi raggiungeranno la meta passando per il rifugio Averau, mentre gli altri saliranno per la ferrata della Gusella sul versante opposto. Dopo poco più di un’ora e mezza eccoci in vetta a mangiare panini con la bistecca e a festeggiare uno dei panorami più belli che le dolomiti possano offrire. Ci accorgiamo però che è tardi, dobbiamo arrivare al Passo Falzarego prima delle 16.30 per prendere la funivia, per molti di noi sarebbe veramente troppo dura giungere a piedi fino al Rifugio Lagazuoi e quindi ripartiamo frettolosi. Al Lagazuoi ci aspettano anche due nuovi membri della spedizione, Piero e Jack, rispettivamente zio e cugino di Maki e Lella, che ci accompagneranno per un paio di giorni. La cena viene letteralmente divorata (che buona!) e come sempre spunta la chitarra e cominciano i canti, comincia la festa. Il richiamo al rispetto dell’orario del silenzio da parte del gestore riesce solo a farci spostare fuori dal rifugio: ben coperti usciamo nella nebbia con le pile frontali e raggiungiamo una vecchia trincea dove possiamo continuare tra momenti di allegria e momenti più seri, nel ricordo di ciò che è avvenuto in questi luoghi novant’anni or sono.

Terzo giorno.
Dopo un’abbondante colazione salutiamo il rifugio Lagazuoi, e sotto un cielo questa volta grigio e minaccioso, cominciamo a percorrere in discesa la famosa omonima Galleria. La mente non può fare a meno di pensare che, dove ora noi stiamo camminando da turisti, i soldati un tempo morivano, per le pallottole, per le granate, per il freddo e per gli stenti. Sbuchiamo all’aperto e presso Forcella Travenanzes il gruppo si ri-divide tra escursionisti e ferratisti. I primi devieranno verso il Bivacco della Chiesa, per poi rientrare, mentre gli altri punteranno diritti alla Galleria del Castelletto e alla Ferrata Lipella. La destinazione comune sarà il rifugio Giussani, posto dietro all’imponente e maestosa Tofana di Rozes. All’ascesa della Tofana su ferrata si aggiungono anche Piero e Jack. Questa comunque è una vera via ferrata e chi si è lamentato il giorno prima di aver messo su l’imbrago quasi per niente, oggi è ben contento di averlo indosso. Dopo quattro lunghe, faticose, ma emozionanti ore di ascesa lungo l’imponente parete ovest, sbuchiamo sull’anticima a oltre 3000m di quota. A questo punto il gelidissimo ventaccio e la stanchezza accumulata, uniti all’idea che domattina raggiungeremo comunque la vetta con tutti gli altri, ci conducono direttamente in direzione il rifugio dove il resto del gruppo è già arrivato salendo i ripidi ghiaioni del versante est dopo aver aggirato la Tofana in senso antiorario. Anche in questo rifugio si banchetta e si festeggia, pur non essendo l’accoglienza calorosa come la sera prima. Le facce appaiono un po’ più stanche e difatti si va tutti a nanna presto.

Quarto giorno.
Tempo pessimo, la Tofana appare completamente avvolta dalle nubi e il tempo, ventoso, non promette nulla di buono…. abbandoniamo a malincuore l’idea della vetta. Qui Jack e Piero ci salutano, devono rientrare a casa per altri sentieri. Si parte quindi subito in discesa, direzione Rifugio Di Bona. Il tragitto fra le ghiaie è facile e ben presto il Di Bona ci accoglie e ci permette di banchettare con strepitosi panini e buona birra. Poi ripartiamo, sempre in discesa, ma stavolta nel bosco, fino a giungere lungo la strada che sale a Passo Falzarego, proprio innanzi alla fermata della corriera che ci porterà a San Vito di Cadore. Il tempo regge, arriva finalmente la corriera. Percorriamo sul bus chilometri di serpentone asfaltato e concludiamo il nostro momentaneo ritorno alla civiltà a San Vito di Cadore con una pizza, accompagnati da qualche genitore che ci è venuto a trovare per l’occasione e da Jan, che si aggregherà come promesso.

Purtroppo qui la Miki ci abbandona a malincuore per una storta alla caviglia, ma xon la promessa di invitarci tutti a cena a casa sua una volta tornati. Ripartiamo. L’abbondante cibo ingerito ci zavorra non poco nella faticosa ascesa al Rifugio Scottèr-Palatini presso il quale facciamo sosta. Poi via di nuovo alla volta del San Marco, oasi dall’incredibile bellezza, e di nuovo via fino a toccare i 2100m di Forcella Piccola dietro la quale si cela il Rifugio Galassi, che ci accoglierà per ben due notti in una grande camerata riservata solamente a noi. Alla comitiva si aggregano qui anche Rudy e Daniele, amici di Robi che ci faranno da guida nella nostra ascesa al gigante Antelao, il giorno successivo.

Quinto giorno.
Il tempo non è perfetto, ma è comunque buono. Si va! C’è chi, sfinito, resta al rifugio o si prodiga in escursioni più tranquille, ma la gran parte della comitiva è pronta a partire. Sappiamo che la salita è catalogata come sentiero difficile con alcune difficoltà alpinistiche, non è cosa per tutti, bisogna andare coi piedi di piombo ed affidarci alle nostre due guide. Raggiunta Forcella Piccola giriamo a sinistra e dopo una prima ascesa su sentiero ripido, ma facile, ecco le temute cenge della Bala. Appena terminato questo tratto reso ancor più pericoloso dalla roccia umida, comincia il primo troncone dei famosi Lastoni, enormi piani di roccia inclinati, a formare un gigantesco scivolo naturale. Altri passaggi difficili si alternano a successivi lunghi tratti di Lastoni e talvolta Rudy e Daniele devono ricorrere all’ausilio della corda per permetterci di procedere. È diverso dagli altri giorni, diverso anche dalla ferrata sulla Tofana, nonostante quell’ambiente fosse ancor più verticale. Oggi non ci sono corde metalliche a cui aggrapparsi, non ci sono moschettoni o imbraghi, il pericolo è lì, dietro a ogni angolo, dietro a ogni croda, è questa la difficoltà vera, almeno per noi, normali escursionisti da sentiero. A un certo punto ecco una freccia sulla roccia che indica il Bivacco Cosi, alcuni di noi lo raggiungono, altri non lo vedono e tirano dritto. Denis decide con serenità che qui ha raggiunto il proprio limite e ci aspetterà al ritorno, scelta di tutto rispetto e dimostrazione di una dote che a molti di noi spesso manca. Non solo in montagna. Terminati i Lastoni si susseguono altri passaggi difficili, ma li superiamo tutti senza sosta e, finalmente, quando la stanchezza comincia a far vacillare molti di noi, ecco sbucare nella foschia la torretta dell’ IGN. È fatta, monte Antelao, 3263m, la cima è nostra. Spuntano pane e salame, cioccolate e barrette varie, compiliamo il libro di vetta, facciamo rapidamente foto e riprese, discutendo con i pochissimi altri escursionisti che dividono con noi la cima. Siamo tutti felici, euforici, ma comunque non rilassati, sappiamo che non è finita. Torniamo sui nostri passi, recuperando con calma Denis, e scendendo lentamente lungo i Lastoni, ognuno col suo passo, aspettandoci tutti nei passaggi difficili. Quando l’ultimo del gruppo termina il tratto finale della Bala tiriamo tutti un sospiro di sollievo, ora è davvero fatta, abbracci, sorrisi e canti a non finire si sovrappongono nel rientrare al rifugio. Qui la nostra più profonda gratitudine va a riversarsi su Rudy e Daniele senza i quali non avremmo compiuto quest’impresa. Loro ringraziano di cuore e, così come erano comparsi la sera prima, se ne vanno silenziosi verso l’orizzonte  al tramonto, in cerca di chissà quali altre meravigliose avventure.

Sesto giorno.
L’ultimo. È ferragosto. Ci alziamo meno allegri del solito, probabilmente per la consapevolezza che è l’ultima volta che in questo viaggio ci svegliamo tutti insieme. Fuori ci attendono nebbia e pioviggine, oggi anche il cielo è triste. In fondo anche lui capisce che un gruppo così speciale sta per abbandonare le sue magiche vette. Ma non è questo a fermarci, gli Slavazzuoi sanno bene come non perdersi d’animo: poco dopo la partenza lungo la Val d’Oten, un bagno sul torrente gelido di alcuni dei più pazzi riporta subito l’allegria. Il tragitto è lungo e affascinante, soprattutto la solenne Cascata delle Pile, il cielo però è sempre più minaccioso, sembra non voler proprio lasciarci andare. L’acqua comincia a scrosciare suggerendoci una pausa pranzo forzata presso il Bar alla Pineta. Mangiamo allegramente sul pergolato fra i pochi turisti giunti fino a lì in auto per il ferragosto più piovoso degli ultimi anni. Qualcuno poi lassù decide che è ora di chiudere i rubinetti. Gocciola, si riparte. Senza quasi accorgerci, un serpente d’asfalto si sostituisce alla strada bianca sotto i nostri passi. Giungiamo in stazione a Calalzo. C’è da aspettare per il treno… il rientro è lungo, dobbiamo anche cambiare convoglio a Ponte nelle Alpi. I nostri sguardi si incrociano spesso mentre parliamo, scherziamo, o finiamo di lasciare coi pennarelli, come tradizione, i nostri messaggi sulle magliette di tutti. I nostri sguardi si incrociano ancora, in continuazione, silenziosi, complici, e con un palese velo di malinconia, si danno appuntamento alla prossima avventura, consapevoli che quella che hanno appena condiviso rimarrà per sempre indelebile nei cuori di chi l’ha vissuta… e lo ripeto: rimarrà “per sempre”… è per questo che ogni anno cambia nome, perché ogni avventura è diversa, è unica, ha una sua storia, i suoi protagonisti, un suo inizio e una sua fine. Quella che vi ho appena raccontato si chiama Slavazzuoi.

Luca Bubu Slavazzuolo

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