Tofane… il “peso della gita”

Tre Bortolot stracarichi, sulla famosa tipo bianca di Marcello, sono in viaggio per il Passo Valparola, luogo di partenza del Bortolottour annuale. Mastro Franco ha tirato il pacco ed io e Marcello zaini e scarponi nuovi e quindi con l’incognita vesciche. Max col solito campeggio ambulante. Stavolta i pesi sono enormi, tanto che ci si deve aiutare per issare in spalla gli zaini, cose dell’altro mondo, piangere dal ridere. Forse abbiamo esagerato con dolci e salate leccornìe (dai cubetti di grana alle scatolette di sughi pronti, dalle svariate tipologie di cioccolata alle bevande calde e fredde energetiche, per non menzionare tutto il restante sacrario dell’equipaggiamento… mi sa che ne vedremo delle belle!)… Sento subito un gran peso sulle spalle e sulle ginocchia e la partenza in salita, su per una breve forcella (Selàres) piuttosto irta, mi fa ansimare, così come Marcello. Max è più tranquillo ma il peso è anche per lui un fardello… Occhiate stralunate si rincorrono come per chiederci reciprocamente aiuto per svuotare il prima possibile gli zaini dalle cibarie in eccesso.

Nell’anfiteatro sotto la Cima Scottoni, il rifugio Scotoni è davvero un’oasi estatica; ma chi ce lo fa fare di riprendere il viaggio con tutto quel peso?! E invece eccoci sul sentiero costruito durante la Grande Guerra ad arrancare stremati.. con fatica superiamo il lago di Lagazuoi e poi, su sentiero ghiaioso e ripido, procediamo lentissimi verso le trincee del Lagazuoi che raggiungiamo stanchissimi. Resti di trincee e camminamenti ovunque, pezzi di legno, reticolati, ferraglia, tutt’intorno è ammassi di ricordi della guerra.

Al Lagazuoi è tutto un formicolio di turisti, rifocillata generale, sguardo all’infinita prospettiva di montagne e ripartenza per le Tofane. Camminando su continui avvallamenti, pietraie e sfasciumi residui della guerra di mine, lasciamo la forcella Travenanzes e per la forcella Col dei Bos, aggiriamo il Castelletto e quindi proseguiamo alla base della Tofana di Rozes e il Pilastro, giungendo sul sentiero che sale a serpentina all’ex Rif. Cantore (in zona resti di baraccamenti e fortificazioni) ed in breve al Rif. Giussani, alla forcella Fontananegra. L’idea è di salire alla Tofana di Rozes il mattino seguente ma il freddo e la spruzzata di neve che aveva imperversato pochi giorni prima, ha provocato il formarsi del “vetrato” sui lastroni che arrivano in vetta e sconsigliato quindi la salita (visto che non eravamo attrezzati coi ramponi).

Il giorno successivo invece, di buon’ora, siamo ridiscesi verso il Vallon e rasentando nuovamente la parete della Tofana, siamo entrati nel tunnel scavato sotto il Castelletto, che all’interno contiene ancora installazioni militari dell’epoca. Ascendiamo ancora il Lagazuoi e con percorso obbligato in trincea, penetriamo nella famosissima galleria di guerra che scende con scalini per oltre seicento metri verso il Passo Falzarego. All’interno troviamo camerate, depositi, postazioni, alcune ricostruite e comunque in fase di recupero per la memoria storica (alcuni anfratti e gallerie secondarie sono coi “lavori in corso”). Poggiando il piede sento il peso dello zaino sul ginocchio, ho la sensazione che sto stirando qualche tendine… vebbè, si prosegue e oltre la cengia Martini si sbuca in sentiero che degrada velocemente al passo. Nella discesa, Max si tuffa letteralmente su un ghiaione e con acrobazie circensi e perfino una capriola, arriva miracolosamente incolume su un materasso di pini mughi… ho riso tanto per quel cartone animato che mi sorpassava, anche per le facce rincitrullite che declinava.

Al passo, un cosmopolita andirivieni di auto, moto e pedoni, un bazar indaffarato. Solo un caffè e continuiamo su facile sentiero per i pendii dell’Averau e quindi all’omonimo rifugio e stiracchiando un po’ la gamba su per i gradoni, giungiamo al Rif. Nuvolau per la sosta meritata. Al rifugio classico clima conviviale ed accogliente, la gestione è collaudata e simpatica, così anche le cameriere! La mattina vede un’alba da favola sulle Dolomiti, il Nuvolau è un rifugio particolare. Posto a 2575 metri, su un cocuzzolo (il Monte Nuvolao per l’appunto), è un punto di vista privilegiato a 360° sulle Dolomiti intere oltre che su Cortina d’Ampezzo, sul Fodom e sulla Val Badia… credo di poterlo annoverare senza ombra di dubbio tra i più bei punti panoramici di tutte le Alpi Orientali.

Con alle spalle il rifugio, guardando a sud e girando a ovest, si possono osservare e riconoscere in primo piano il Pelmo, Moiazza e Civetta, la Marmolada, Sella, Cunturines, Lagazuoi, le Tofane, Cinque Torri, Cortina, il Pomagagnon, il Cristallo, il Sorapìs, la Croda Marcora, l’Antelao, Croda da Lago coi Lastoni di Formin… e in secondo piano o di sfondo, alla rinfusa, le Pale di San Martino e San Lucano, Sassolungo, Catinaccio, Bosconero, Dolomiti Friulane, Dolomiti di Sesto… e molte altre.

Lasciamo questo grandioso spazio d’orizzonte e scesi al passo Giau e attraversatolo, puntiamo diritti verso la Croda da Lago, ondeggiando col vento tagliente su sentieri a mezza costa, verdissime praterie e profondi canaloni. Giunti a Mondevàl, il Pelmo si staglia innanzi a noi con tutta la sua enormità. In questo sito, anni orsono, fu rinvenuto uno scheletro (detto l’uomo di Mondevàl) risalente, dicono, ad almeno 5000 anni fa ed ora sistemato e visitabile nel piccolo museo di Selva di Cadore. Dopo esserci ristorati, ripartiamo, ma qui frittata è fatta. Il mio gionocchio già scricchiolante, decide di fare i capricci e non ne vuol sapere di seguirmi. Mi devo allora disfare del peso dello zaino, che Marcello stoicamente m’aiuta a portare. E’ quasi tutta leggera la discesa verso il Rif. Palmieri, ma anche senza zaino, per me, è un calvario di dolore alla gamba sinistra. In qualche modo comunque arriviamo al rifugio che si erge sulla sponda di un lago, che specchia la caratteristica sagoma rocciosa del Becco di Mezzodì, classico sfondo di Cortina sulle cartoline. E qui, una volta accampati, pensiamo solamente a riposarci, scrivere appunti, leggere.

Purtroppo, per me la notte (una comoda camerata in sottotetto) è sofferenza, il tendine infiammato non demorde. Dobbiamo rinunciare all’anello di ritorno verso Valparola e con infinita costernazione devo chiamare il Soccorso Alpino per farmi riportare a valle; proprio non riesco a camminare. Naturalmente non vi dico le prese in giro dei miei due amici per questo contrattempo così banale, che manda all’aria per un buon tratto il nostro giro. Non importa, in questa situazione apprezzo e condivido la solidarietà, la generosità, l’amicizia vera ed incondizionata dei miei compagni d’avventura. Con una campagnola del soccorso alpino, scendiamo dal bosco delle Pisandre e andiamo diretti al rifugio Codivilla-Putti (ehm… l’ospedale…), dove la mia gamba sinistra viene steccata con un’abbondante fasciatura. Nel frattempo, Marcello se ne è tornato su al Passo a recuperare l’auto.

Alla fine, tra una battuta e l’altra, invece di tornarcene a casa, decidiamo di proseguire il nostro vagabondare di un paio di giorni, facendoci raggiungere da alcuni amici. Certo bisogna pensare allo zoppo (io… ndr), ma le nostre menti contorte hanno all’uopo una soluzione. Si va a Misurina, seggiovia Col de Varda e seratona fantastica al rifugio omonimo con un nutrito gruppetto di amici (una scala quaranta infinita chiudeva la nottata). Il giorno seguente, io e Max (per solidarietà… o forse perché era stanco pure lui?!) ce ne stiamo tranquilli a poltrire (e a mangiare) al rifugio, mentre tutti gli altri sorriso sulle labbra per una gita, che per come si era messa sembrava rovinata, e che invece abbiamo recuperato in modo insolito e coinvolgente.

Robi

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