Non ci siamo fatti mancare niente. Itinerario semiserio e selvaggio tra la Val Visdende e le Alpi Carniche

Fermo immagine 1: Il lungo avvicinamento è terminato e gli spaghetti allo scoglio di Giovanni digeriti, i Bortolot sono pronti con tutti i riti e le tradizioni… zaini in spalla, bandane in testa, scarponi ai piedi, tessere Cai in saccoccia e via, col “furgon sociale” di Robi si parte per la spedizione “Bortolot-Val Visdende 2017”…

La squadra è completata dal reparto videofotografico, in particolare si contano sei cellulari e tre macchine fotografiche… per il racconto fotografico di un itinerario a cavallo dei crinali di Italia e Austria, profondo nord est e periferia delle più acclamate Dolomiti, ma tra i più suggestivi e affascinanti.

Le prime due facciate dell’articolo apparso sul Notiziario Sociale n° 1 Dicembre 2017 Anno XLIII, della Sezione di Vittorio Veneto del CAI

In Val Visdende, Inno al Creatore (e mai slogan è stato più azzeccato…), la strada si incunea per chilometri tra boschi di abeti rossi, malghe bucoliche e piccoli villaggi caratteristici. E’ fine agosto e come al solito noi Bortolot ci siamo ritagliati un periodo di “fuga” dalla frenesia quotidiana per rispolverare la nostra vena goliardica e riflessiva e viaggiare spensierati tra i monti alla ricerca di quel senso si appagamento che cime, rifugi, panorami sanno donare a chi li frequenta con rispetto e ammirazione.

Al parcheggio, una cerimonia alquanto particolare, la consegna delle magliette celebrative con le nostre caricature e i nomignoli e quindi ecco in ordine sparso i Bortolot: Marcello-Ciste, Max-Maldepanza, Federico-FenPirata, Robi-Suem, Franco-Pippa, Giò-Watson e l’unico tirapacchi ma giustificato, Mic-Fatelamore. Caricature che, ahimè, ci confermano che il tempo passa e le rughe aumentano, ma per il resto tutto funziona ancora bene (messaggio per le nostre fans…ndr)… parlavamo della memoria ovviamente, cosa avevate immaginato!?!

Sul far della sera i nostri si incamminano felici come bambini dentro un negozio di giocattoli e trepidanti come fosse l’attesa di San Nicolò; la mulattiera è un lungo serpentone che sale tra le praterie fino a scollinare in territorio austriaco e giungere al “PorzeHutte”, dove pernottiamo. Sappiamo che l’orario austriaco è un po’ restrittivo per la cena rispetto agli orari italici e quindi il nostro ritardo provoca una certa agitazione al grande capo Marcello, pronto a sfoderare ogni stratagemma pur di mangiare decentemente… ma la gestione si rivela più tranquilla di precedenti già vissuti e Ciste si quieta.

Il giorno seguente è uno spasso per l’anima, un su e giù di rara bellezza ambientale, pascoli, malghette, rigagnoli, laghetti fino al rifugio “Filmoor”, da noi ribattezzato “Pitura Freska”. Un vero e proprio nido d’aquila a 2400 mt, piccolo, accogliente e gestito in abbinamento da una ragazza austriaca e due fratelli udite udite di Mogliano Veneto!! Si proprio così venetissimi e con la parlata tedesca e accento veneto o “feneto con accento tetesco”… un miscuglio riuscitissimo e certo la simpatia era la ricetta principale dei “cruki da mojan”… Super pranzo: l’ordine, la padella e la tavola, tutto a catena di montaggio e sotto gli occhi di noi stupefatti nell’osservare la preparazione dei piatti dal vivo, spettegolando e facendo domande ai cuochi-fratelli sul perché di questo connubio trevigiano-tirolese. E tra canederli, speck, uova e patate saltate, Il clima si è naturalmente allineato al canto spassionato e in un attimo cuochi e Bortolot tutti assieme a cantare a squarciagola i Pitura Freska e i canti di montagna col piccolo pubblico tirolese allietato e divertito. Momento magico e sublime che i saluti di partenza hanno interrotto forzatamente, dovevamo fare ancora metà itinerario!!

Raggirando il Monte Cavallino ci siamo inerpicati su un’ultima forcella davvero faticosa, bocche aperte, lingue a penzoloni, sguardo fisso… e in forcella sfiniti e distesi osserviamo sotto di noi il fantastico laghetto (pareva a forma di cuore) con l’ Obstansersee Hutte.

Anche qui pienone di tedeschi e la cena a orario di pollaio!! Surreale la compagnia di un ragazzo tedesco che a cena si è piazzato tranquillamente e volutamente al nostro tavolo, nonostante fossimo palesemente e disordinatamente “italiani”… tra l’inglese maccheronico e la gestualità di Franco in qualche modo abbiamo anche comunicato… poi come è arrivato, improvvisamente si è agganciato ad un altro tavolo… misteri?!?

La mattina successiva, baciati dal sole, partiamo per la lunga cavalcata di rientro in Italia girando attorno al Cavallino, salendo Cima Vanscuro (Pfannspitze) dalla cui vetta lo sguardo vagava lontano a 360 tra Dolomiti, catena carnica e vette austriache; toccando Casera Melin (pausa pranzo) e fiancheggiando il Monte Palombino giungiamo sull’omonima forcella per seguire poi un sentiero tra ghiaioni e mughi addentrandoci sulle Crode dei Longerin…

Avventura nell’avventura sui sentieri dei Longerin, sulla carta facili ma nella realtà in molti punti rovinati dalle intemperie e sicuramente da puntinare sulle prossime edizioni Tabacco.

Poi una lunga discesa dentro a un canyon con una cascata spettacolare e vista sul Peralba e alla fine di un bel bosco ecco il caratteristico rifugio Forcella Zovo, la casa di “Heidi”. La sera porta con sé la pioggia che finora ci aveva risparmiato.

La domenica il ritorno è una lunghissima passeggiata dentro e fuori dai boschi antichi della Val Visdende e la tappa in agriturismo è la ciliegina sulla torta.

 

Le altre due facciate dell’articolo apparso sul Notiziario Sociale n° 1 Dicembre 2017 Anno XLIII, della Sezione di Vittorio Veneto del CAI

Fermo immagine 2: siamo nel 2040, attorno al fuoco di un camino e al profumo della polenta, un nonno-Bortolot è attorniato dai suoi nipotini: -“dai nonno, raccontaci una storia di montagna, una di quelle avventure coi tuoi amici…”

Il nonno non si fa pregare e inizia a raccontare di quella volta sulle creste austro-italiche tra la Val Visdende e le Alpi Carniche, di quella volta che “non ci siamo fatti mancare niente…”; di Franco che ha perso gli occhiali e “quasi” perso i bastoncini; di Marcello e delle sue amicizie in pasticceria e tra i rifugi (con le sonore risate degli altri Bortolot che ancora gli ronzeranno in testa); di Max e GiòWatson e dei loro porcini (e attenti che non si sappia in giro); di Federico e del suo innato senso del ritmo e delle canzoni; di Robi e degli autoscatti (ora si direbbero selfie)… del bagno sul torrente, dei tuoni sui Longerin, delle scale quaranta e dei rientri, dei pedalò sul laghetto; di valli incantate e delle rincorse delle mucche, dei “do zòc”… e di Michele che è rimasto a casa sul divano…

 

Fermo immagine 3: Il viso dei nipotini è illuminato dalla luce calda del fuoco, i loro occhi rapiti dai racconti, i loro pensieri presi in un turbinio d’immaginazione, il loro cuore palpitante di riconoscenza verso il nonno… e pian pianino si addormentano sulla panca fantasticando di avventure tra le vette. Piccoli Bortolot crescono.

Robi Bortolot

 

Trovate anche qui il Pdf dell’articolo apparso sul n° 1 Dicembre 2017 Anno XLIII del “Notiziario Sociale del Sezione di Vittorio Veneto del CAI“.

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