Popolo della Montagna

Intorno alla Tofana di Rozes col pensiero alla speranza…

A febbraio, davanti ad una spettacolare spaghettata allo scoglio, già sognavamo le imprese estive in lungo e in largo sui sentieri dolomitici… marzo sembrava aver spento tutto e si delineava all’orizzonte un’estate coi rifugi chiusi… poi a giugno uno spiraglio e l’estate, pur con tutte le regole e restrizioni, si è ammantata di bagliori positivi ed ha riacceso le voci e le idee del popolo della montagna.

Un popolo particolare, rituale, a suo modo esigente, nostalgico, romantico, sognatore, generoso ed educato sui sentieri, col saluto sempre sulle labbra, amante dei lunghi e faticosi silenzi e allo stesso tempo facilmente coinvolto da socialità, dalla compagnia, magari intorno ad una tavolata in rifugio o attorno al fuoco di un bivacco… un popolo incline al canto popolare al suono di un’armonica o allo strimpellare di una chitarra. Popolo trasversale per età, cultura e abitudini; popolo laico e spirituale insieme, un popolo multietnico; popolo che sente forte l’appartenenza al sodalizio del Cai… questo popolo è gente dagli occhi che brillano al solo sentir menzionare la parola MONTAGNA… E’ la montagna che ricarica di energia, solleva da delusioni, svela complicità, raccoglie emozioni, custodisce tesori di umanità, certifica limiti ma non nega l’approdo e tende i suoi fianchi, proietta ricordi, regala spettacolo e natura.

Noi Bortolot apparteniamo a questo popolo.

In quest’anno surreale, col rischio di appendere lo zaino al chiodo, la montagna ha dato il meglio di sé, accogliendo su cime e sentieri tutto il popolo che ha rialzato la testa; con prudenza e determinazione è uscito dal lungo letargo e la cercava la montagna, la bramava per un senso di libertà… e anche noi Bortolot, appena possibile. ci siamo fiondati al richiamo delle rocce e di echi suggestivi.

Fine agosto 2020 ai tempi del coronavirus, il famigerato “covid 19”; “armati” di mascherina, gel igienizzante e distanziati di un metro, anche noi Bortolot un bel pomeriggio ci siamo incamminati sui sentieri delle Tofane. Anguria propiziatoria al parcheggio del rifugio Dibona e caffè di partenza e via, saliti sulle ali della libertà…

Dopo mesi di polvere e ragnatele gli scarponi erano liberi di calpestare le rocce, accarezzare i fili d’erba, sgretolare i ghiaioni, saltellare sui muschi, sprofondare nei ruscelli, coccolare i nostri piedi mai così eccitati dall’idea di rimettersi in cammino, di scarpinare…

In effetti, tutto il corpo era infiammato all’idea di muoversi nel contesto dolomitico. Perché sì, vedete, cari amici del popolo della montagna, anche le mani non vedevano l’ora di allacciare stringhe, impugnare racchette, serrare lacci, salutare viandanti… per non parlare delle gambe e delle braccia, stimolate dai movimenti su e giù sui sentieri, come lo sferragliare delle ruote del treno sui binari; e la schiena, la solida, robusta, forte schiena (magari anche con ernie e protrusioni… sich!!), senza indugi a caricare lo zaino sulle sue spalle e riprendere così feeling con pesi e materiali.

E poi i sensi, i nostri sensi…

L’olfatto non aspettava altro che riannusare i profumi dell’aria tersa e della nebbia… il naso gioiva all’odore dell’erba bagnata e del passaggio di una mandria… (e del sudore della camerata in rifugio… ndr). Il tatto smaniava nuovamente al tocco della rugiada mattutina e delle dita sulla roccia, nell’asciugare la fronte e lisciare i polpastrelli lungo l’itinerario sulla “tabacco” (e di spalmare la crema per il sole…ndr); l’udito si è subito sintonizzato sul sibilo del vento e sul ticchettio della pioggia sopra il poncho e sui tetti… le orecchie attente ad ascoltare lo svolazzare dei gracchi e il richiamo del falco, sintonizzate sul bramito di un cervo in calore e di lontano i rumori appannati delle moto sui tornanti del Falzarego… ->

Per non parlare del gusto; la bocca e il palato erano pronti a riassaporare i tipici piatti dei rifugi… a deliziarsi nuovamente del panino all’alba, delle uova e speck e del ragù fumante sulla pasta. E poi la vista, occhi sgranati a scrutare verso le vette… rivedere da vicino quei panorami così belli da spezzare il fiato (dopo che per mesi si guardavano con invidia solo sui social e on-line)… così belli anche se coperti dalle nubi, perché celano favole, misteri… vedi dolomie e ti si accende la fantasia; davanti alle Tofane gli occhi si chiudono e la mente vaga con l’immaginazione… E si vedono riaffiorare antiche leggende, nuovi racconti.

E’ proprio così, sul momento in cui coi Bortolot ci siamo rimessi in marcia, alle ore 17 di venerdì 28 agosto 2020, tutti i nostri sensi hanno festeggiato e un nugolo di allegria si è messa in moto con noi ed ha acceso una lunga via di serenità a racchiudere in un “abbraccio virtuale” la Tofana di Rozes. Il fugace riposo al Giussani è stato un riprendere confidenza coi rifugi, totem di noi popolo della montagna; quest’anno frequentatissimi ma vuoti, del vuoto percepibile di umanità poliglotta, di strette di mano, di abbracci, di convivialità semplice eppur eccezionale… anche la gestione un po’ ingessata, forse dal fatto di essere legata ed obbligata da tante regole…

La mattina successiva, sabato, eravamo immersi nelle nuvole dopo un temporale notturno, ma i nostri sensi e il nostro corpo si sono nutriti di natura scendendo e risalendo i versanti della val Travenanzes, tra rigoli d’acqua. Lampi di sporadiche luci tra nubi e profili di vette si proiettano tra i passi lenti e costanti degli scarponi fin su sul Lagazuoi. In cima al picco dove normalmente in una bella giornata di sole si può spaziare a 360 gradi tra le Dolomiti UNESCO, stavolta siamo immersi in un cappello di nubi, col rifugio omonimo stretto tra lampi, tuoni e scrosci di pioggia e ondate di vento da tregenda. E allora ecco che il corpo e i nostri sensi trovano ristoro all’interno di locali che normalmente brulicano di turisti e ospitano il “mondo”. Mentre noi ci ritempriamo, i più, indispettiti dal tempo grigio e bollente, ridiscendono in funivia e restiamo così noi pochi a godere del clima “insolitamente” e piacevolmente familiare di un rifugio immenso (questo posto incredibilmente aereo è normalmente una piccola industria da quanto è frequentato… ndr). E mentre fuori imperversa la tempesta a noi non resta che mangiare e giocare a scala 40 tra “ciacole” e risate e archiviare tra i ricordi l’incontro e il brindisi con alcuni personaggi della TV calcistica lassù di passaggio. La domenica mattina ancora piove ma finalmente, in tarda mattinata, uno squarcio di cielo ci dà la possibilità di ritornare al furgone costeggiando la parete sud della Tofana di Rozes.

Molta pioggia, poco cammino, ma è così che sensi e corpo si sono sgranchiti e riappropriati della libertà di navigare, veleggiare, camminare in montagna, sì che anche i Bortolot si sentono nuovamente parte dei monti, dopo una primavera da dimenticare?!?… o forse da riflettere!?!…

Mi è rimasto di raccontare di una parte del corpo e di come ha vissuto l’”aria” di libertà… il fondoschiena comunemente chiamato “sedere”… beh, ovviamente anch’esso contento di essersi seduto più volte e aver permesso a tutte le altre parti del corpo e ai sensi di riposare e godere del meraviglioso Creato tutt’intorno…

La speranza c’è… buone camminate al popolo della montagna.
 

             Robi Bortolot

 

Ho riportato qui il file pdf dell’articolo apparso sul n° 1 Dicembre 2020 Anno XLVI del “Notiziario Sociale del Sezione di Vittorio Veneto del CAI“.

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